STORIA DEL VITELLO TONNATO

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Vitello tonnato, una storia tutta italiana

Altro che francese: uno dei piatti simbolo degli anni ’80, ora tornato di moda, è nato in Piemonte nel ‘700. Capperi e acciughe c’erano già, ma la maionese no. E nemmeno il tonno

Nominarlo richiama subito alla mente gli anni ’80. Con gli antipasti a base di prosciutto e melone, le penne alla vodka come primo e, ovunque, il dilagare della panna: un “edonismo culinario” tutto modernità ed esterofilia, con i cibi tradizionali decisamente in ribasso. Sarà per questo che il piatto di cui stiamo parlando, il vitello tonnato, qualcuno preferiva chiamarlo “vitel tonné”. L’italiano, insomma, non era di moda. E poco importava che vitello, in francese, si dicesse “veau”. Eppure il vitello tonnato è un piatto antico e italianissimo, valido sia come antipasto che come secondo, che oggi sta tornando di moda.

Monsieur Tonné da Cuneo

Si tratta infatti di una ricetta piemontese, nata probabilmente nel Cuneese all’inizio del XVIII secolo, anche se la paternità del piatto è rivendicata pure dalla gastronomia lombarda, veneta ed emiliana. E dire che, all’inizio, il tonno nella ricetta nemmeno compariva: “Tonné” derivava infatti dal francese “tanné”, che significava “conciato”. La lingua transalpina era uno dei tanti ingredienti di quel miscuglio linguistico che contraddistingueva il Ducato dei Savoia, in cui il francese e l’italiano erano le lingue ufficiali ma dove alla fine tutti, sovrani compresi, parlavano il dialetto piemontese, zeppo di francesismi. Quel “tonné” dal suono francese, chissà, era forse un modo  per dare lustro (magari ironicamente) e nobiltà a un piatto invece tipicamente popolare, preparato con gli avanzi della carne di vitello, lessata a lungo per ottenere la tanto agognata morbidezza. Secondo Giovanni Ballarini, professore universitario e accademico nella delegazione di Parma dell’Accademia italiana della cucina, “si può pensare che tonnato volesse in un primo tempo significare cucinato come fosse tonno e che la ventresca sottolio sia stata aggiunta in un secondo tempo, probabilmente attratta dal nome del piatto”.

Grazie, signori contrabbandieri

Un’attrazione quasi fatale in Piemonte, dove il binomio “mare e monti” così di moda negli anni ’80 è in realtà radicato da secoli, grazie ai contatti continui con i porti liguri (basti pensare alla bagna cauda). Merito degli acciugai piemontesi, venditori di alici sottosale che, fin dal Medioevo, si recavano in Liguria e alle foci del Rodano per acquistare il sale a prezzi accessibili, per poi rivenderlo in patria a prezzi più alti. E facendolo arrivare spesso di contrabbando, nascondendolo sotto strati di alici e gabbando così i doganieri francesi e genovesi. In Piemonte, poi, il sale era carissimo mentre le acciughe venivano vendute a prezzi stracciati. Il tonno, probabilmente, arrivò negli anni ’70-80 dell’Ottocento, proposto in enormi contenitori da 5 kg, che poi verranno nel 1953-54 a causa delle infezioni da stafilococco che colpivano il pesce lasciato aperto per diversi giorni.

La ricetta dell’Artusi

Fatto sta che il tonno compare nella prima ricetta di vitello tonnato giunta fino a noi, quella redatta nel 1891 da Pellegrino Artusi nella sua Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Il grande gastronomo romagnolo prescriveva “vitella di latte, nella coscia o nel culaccio”, condita con le acciughe e poi bollita “con due chiodi di garofani, una foglia d’alloro, sedano, carota e prezzemolo”. La carne poi andava tagliata a fette sottili e tenuta “in infusione un giorno o due” in una salsa a base di acciughe, tonno sottolio, limone, olio e capperi. Nulla, ovviamente, si buttava: “Il brodo colatelo e servitevene per un risotto”.

Caldo e freddo

Artusi descrive dunque la preparazione fredda, tipicamente estiva: era uno dei piatti di Ferragosto, tanto in Piemonte quanto nel resto del Nord Italia, chissà, magari esportato dalle truppe piemontesi durante il Risorgimento. Nella preparazione calda, tipicamente invernale, la carne era invece arrostita, affettata e servita con la salsa di cottura addensata (spesso con farina) e arricchita da succo di limone.

Evoluzione e gloria

Rispetto alla ricetta attuale, la differenza sta nell’assenza della maionese, che è stata invece introdotta nel corso del Novecento. L’affermazione del piatto su scala nazionale e internazionale, a base di girello di vitello, avvenne invece a partire dagli anni ’60 ad opera, tra gli altri, di Guido e Lidia Alciati del ristorante Da Guido di Costigliole d’Asti. In tempi più recenti, Carlo Cracco sostiene che il vero vitel tonnè non sia con la maionese ma con la salsa tonnata, mentre lo chef Heinz Beck de La Pergola di Roma ha invertito i due animali creando il “tonno vitellato”. Ineccepibile, poi, il “vitel palamité” preparato da Marco Stabile dell’Ora d’Aria di Firenze, preparato con la palamita, il “tonno dei poveri”. Mentre abbondano le versioni che prevedono l’aggiunta di uova sode, carote, patate bollite ma anche cetrioli, zucchine e perfino pomodori. L’evoluzione, nel solco della tradizione, continua.

 

Piatto estivo vitello tonnato
Vitello tonnato del Ristorante Pizzeria del Ponte

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